venerdì santo St. Jacques don Michele DO

Via Crucis. Dieci stazioni del dolore umano     tratto dal libro: Di cominciamento in cominciamento

St. Jacques, 17 aprile 1992

 

Abbiamo cantato lo Stabat Mater, celebriamo lo stare di Maria ai piedi della croce e lo stare nostro di fronte al dolore umano. Le Stazioni della via crucis indicano lo ‘stare’, anche noi stiamo nel dolore che visita le nostre vite. Talvolta le stazioni del dolore della nostra vita sono stazioni lunghe. Diceva don Primo: “Le visite della gioia sono brevi e fuggevoli, ma i momenti del dolore, sono lunghi e continui”.

 

In questa prima stazione, siamo venuti per stare davanti al dolore, come la Vergine davanti al Crocifisso. Ognuno ritrova nel dolore di Cristo qualcosa della propria storia, della propria sofferenza. Veniamo davanti a Lui non solo per ritrovare qualcosa della nostra sofferenza, ma per attingere da Lui la capacità di poter dare un senso positivo, una luce al nostro dolore.

La sofferenza umana è tanto più grande nel mondo di quanto non appaia.

Il Crocifisso è il simbolo che esprime i tanti volti e i tanti momenti del patire.

Come è sacro questo momento della sofferenza, come abbiamo bisogno di dare luce al dolore per non sentirci schiacciati!

Siamo in comunione con la sofferenza universale, con la sofferenza nascosta, quella che non grida, che è mite e rassegnata, con la sofferenza che non si rivolta, che accetta. Ricordiamo tutta la sofferenza umana pensando all’umile stare nella lunga agonia di Padre Lucio[1].

Se c’è una possibilità di dare luce al dolore sappiamo che è davanti a Gesù, il Crocifisso.

Per tutto il dolore umano che grida silenzioso, per tutto lo sconfinato mondo della sofferenza, noi cantiamo nel saluto serale: “Noi voliamo ovunque col pensiero, a venerar la croce e il suo mistero[2]”.

Negli ospedali, nelle carceri, nella solitudine delle case dove si annidano le sofferenze più terribili, è terra sacra, dove occorre scalzarci ed accostarci con riverenza.

Per tutto il dolore umano diciamo:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

Canto:  Strofa dello Stabat mater  / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

Seconda stazione: La realtà del dolore ha un doppio volto, del peccato e del mistero inesplicato e inesplicabile.

Riflettiamo in questo secondo ‘stare’, sul dolore che porta il volto della colpa dell’uomo, porta la firma dell’uomo. C’è tanta sofferenza che nasce dal cuore e dalle mani dell’uomo.

Gesù è condannato, flagellato, irriso, crocifisso dalle mani dell’uomo.

Per sapere davvero che cos’è il peccato, occorre vederlo sul volto delle creature sfigurate, offese, umiliate, torturate dal peccato dell’uomo. Ci accorgiamo che la cronaca dei giornali appare come una bibbia di Satana, dove ci sono i segni maledetti della cattiveria umana, dove si legge a quali abissi di crudeltà, di perversità si può giungere. Ogni giorno il delitto supera in ferocia l’immaginazione.

Ci sono i grandi simboli del male: Caino, Erode, Giuda mercator pessimus per trenta denari…  La ferocia umana non si arresta di fronte a nulla.

E’ difficile credere nell’uomo quando si constata di che cosa è capace: la viltà di Pilato che si lava le mani, la sua paura di compromettersi e di sporcarsi, la paura di prendere posizione. Anche noi possiamo fingere di non vedere quando un anziano è percosso, quando una ragazza è violentata per strada, e dire: non mi riguarda.

Ci sono folle che chiedono pane e miracoli, c’è chi cerca il loro consenso e non quello della propria coscienza. Folle che applaudono, che irridono, che vanno anche al Calvario come a uno spettacolo.

Si fa di tutto uno spettacolo. C’è lo sguardo dei servi, l’animo dei servi che sbeffeggia, debole con i forti e forte con i deboli.

Queste mani, questi sguardi si posano ancora colpevoli, direttamente o indirettamente, sugli sventurati della storia.

Per tutti crocifissi, vittime delle mani dell’uomo, per tutta la sofferenza che nasce dalle mani dell’uomo, per tutto il dolore noto e ignoto di cui l’uomo è responsabile, diciamo:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

Canto:  Strofa dello Stabat mater  / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

Terza Stazione:  In questa terza stazione di comunione col dolore umano, ci accorgiamo che oltre al dolore provocato dal nostro peccato, c’è un dolore innocente. Qual è il dolore più grande?  Io penso che talvolta il dolore colpevole è più grande, perché porta il tormento della colpa.

Mi chiedo:  è più grande il dolore dell’assassinato o il dolore della madre dell’assassino?

A Papa Giovanni in visita al carcere Regina Coeli, un carcerato chiese: “Le parole di pietà che Lei ha detto per tutti, possono valere anche per me?”; la risposta fu l’abbraccio del Papa in cui le lacrime del carcerato colpevole e le lacrime del Papa buono si sono fuse insieme.

Non posso dimenticare un lontano Venerdì Santo del dopoguerra, quando don Primo Mazzolari  predicava in una cattedrale. Dopo la predica, in sacrestia la mamma del sacerdote assassinato e la mamma dell’assassino che tutti conoscevano e che nessun denunciava, si sono scambiate tra loro l’abbraccio nel comune abbraccio di don Primo e della croce di Cristo.

Per tutto il dolore innocente e per il dolore colpevole, diciamo:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

Canto:  Strofa dello Stabat mater / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

Quarta stazione: In questa stazione facciamo comunione con tutto il dolore che non porta la firma del l’uomo, ma che porta la firma del mistero: la malattia, la morte, i cataclismi, la sofferenza degli animali, le crudeltà insite nella stessa struttura naturale, nell’evolversi della natura, …

  1. Schweitzer pregava così: “Mio Dio, benedici e proteggi tutto ciò che respira e vive e fallo dormire nella pace”.

Quante volte nella nostra vita dobbiamo dire che non vediamo i segni positivi della bontà di Dio “Signa eius non vidimus”.

            Per tutti coloro che sono spezzati e schiacciati dal dolore che viene dal mistero, per gli

ateismi tragici, per tutta questa sofferenza, questa incertezza, queste voci infrante,

per quelli che vorrebbero credere ma non possono, per tutta la sofferenza nascosta nel

cuore dell’uomo, diciamo:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

CantoStrofa dello Stabat mater / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

Quinta stazione: Sostando davanti al Crocifisso e ritrovando in lui il simbolo di tutto il dolore umano, non vediamo soltanto i mille volti e i mille momenti della sofferenza umana, ma anche gli atteggiamenti che si assumono di fronte al dolore.

C’è l’atteggiamento comune, che invoca: “Scendi dalla croce e ti crederemo. Salva te stesso e noi”[3]. “Se è possibile, o Padre, passi da me questo calice”[4]. Ma il miracolo manca. Non posso dimenticare l’esperienza sconvolgente di Lourdes, dove una madre tendeva la sua creatura segnata del male, mentre il Santissimo passava e la folla gridava: “Signore, se tu lo vuoi, puoi guarirla”[5]; ma il miracolo non c’è stato, come Gesù non è sceso dalla croce.

Allora irrompe la domanda: Signore, che cosa ho fatto di male?

Per tutte queste invocazioni deluse, per le preghiere inascoltate, diciamo:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

CantoStrofa dello Stabat mater / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

Sesta stazione: In questa stazione vogliamo fare comunione con tutti quelli che non fuggono, che hanno un grande coraggio, come Padre Davide Turoldo, che pregava: “Non chiedo che tu mi guarisca:/ offesa sarebbe la domanda/che esaudire non puoi:/chiedo che tu mi salvi/che non mi lasci per sempre/soggiacente a questa quotidiana morte”. Padre Davide come ha fatto Gesù, si carica della croce. Non la rimuove, né la fugge, perché fuggire la croce equivale a fuggire dalla propria ombra, ti raggiunge sempre. Occorre far fronte. Come è difficile far fronte, tentando di dare un significato positivo alla vita, nonostante il dolore che viene a visitarci in casa nostra!

I reduci dal Lager raccontano che coloro che riuscivano a dare un senso alla propria vita, pur così ferita e umiliata, avevano più forza per reggere la tragedia.  Scrive E. Wiesel: “Ho fatto della necessità una scelta. L’ho assunta cercando di darle un senso positivo”.

Se c’è uno spazio aperto alla trascendenza, è più facile dare un senso al dolore. E’ triste dover confessare a chi è nel vortice disumano e disumanizzante della sofferenza: “Il tuo dolore è inutile, il tuo dolore è sterile, il tuo dolore è vano”.  Nessuno ha il coraggio di dire questo, perché si profanerebbe qualcosa di santo e di sacro.  Alcuni hanno saputo trovare un valore positivo alla vita nonostante il dolore, come N. Salvaneschi che diventato cieco, disse: ”Ho trovato la luce”.

  1. Girotti, morto a Mauthausen disse l’ultima parola, così triste: “Nel campo di concentramento, nascono pidocchi e muoiono uomini”.

Per tutti quelli che si sono caricati la croce e per quelli che non hanno il coraggio e fuggono:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

Canto: Strofa dello Stabat mater / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

Settima stazione: In questa Stazione vogliamo fare comunione con gli inquieti e contemplare quelli che sono nel dolore e sono lacerati nella vana ricerca di un senso che non trovano.

Giobbe dichiara la sua innocenza e maledice il giorno in cui è nato, flagella il volto di Dio e si rivolta, rifiuta le consolazioni facili.

Giobbe desiderava purificare Dio dalla responsabilità del dolore e non sa come. E Dio risponde: “Quando io seminavo i cieli di stelle, tu dov’eri?”[6]. E Giobbe portando la mano alla bocca: “Sì, io lo riconosco, ho parlato di cose più grandi di me”[7].

Il mistero dell’esistenza è assai più grande della nostra preziosa ma piccolissima ragione. Non possiamo ergerci a giudicare la totalità della vita”.

Per tutti quelli in lotta con Dio, per quelli che dall’alba al tramonto cercano un senso con

intelligenza umile, per quelli che hanno capito di non poter dire: “E’assurdo, perché non

siamo all’origine della vita, per coloro che soffrono queste dolorose lacerazioni nella fatica

dell’ascendere verso la luce, in reverenza per il mistero che ci trascende, diciamo:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

Canto: Strofa dello Stabat mater / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

Ottava Stazione: In questa stazione comunichiamo con il dolore che ha trovato una parola più alta di quella di Giobbe: la Parola di Gesù.

Aveva osservato la vicenda del seme, aveva intuito che quella morte apparente aveva rotto la crosta. Aveva scoperto la legge dello Spirito: chi non si abbandona al mistero della zolla oscura ma amica, non porta frutto. Gesù nella solitudine terribile della croce, dove si ritrova senza Dio e senza amici, getta la sua anima nella luce: “Nelle tue mani, o Padre, affido la mia vita”[8].

I grandi che da Lui hanno raccolto questo spirito, possono dire come M. Gandhi: ”Davanti all’impossibile e all’incomprensibile, chino il capo sulle ginocchia di Dio”. O come D. Hammarskjold: “Fa’ che non disperi mai, perché nella tua mano ogni ora ha elevatezza, grazia, pace e consistenza”.

Ho trovato un insegnamento nella preghiera dove il discepolo chiede al suo maestro: “Dammi una luce, perché io possa entrare in modo sicuro nell’ignoto” ed egli risponde: “Immergiti nell’oscurità e metti la tua mano nella mano di Dio, sarà per te meglio della luce e più sicuro di una strada conosciuta”.

Per tutti coloro che anelano a poter dire la grande parola di Gesù: “Padre nelle tue mani affido il mio Spirito, preghiamo:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

Canto: Strofa dello Stabat mater / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

Nona Stazione: In questa stazione vogliamo fare comunione con tutti quelli che sanno accostarsi alla sofferenza con delicatezza, con sensibilità viva, con intelligenza, con tutti quelli che sanno farsi prossimo a chi soffre.

L’uomo prega e dice a Dio: “Scendi dalla croce”[9], ma Dio risponde nella parabola del samaritano: “Scendi da cavallo, non scavalcare la sofferenza umana, arrestati, accostati alla sofferenza umana, chinati”[10] . Gesù nella sua vicenda ultima non ha avuto molte di queste presenze amiche, sono pochi i gesti di compassione che ha incontrato, il Cireneo si è accostato a Lui per forza. Maria sua madre porta al Calvario la sua presenza silenziosa, basta una parola nell’incrociarsi di due sguardi, un volto, un gesto per sorreggere il cuore e accompagnarlo meno duramente al compimento del suo destino.

I gesti amici sulla strada del maestro sono pochi, ma fra la diserzione dei discepoli che guardano da lontano, fra la malevolenza dei nemici, appare la stupenda figura della Veronica che fende coraggiosamente la folla e con la sua pezzuola asciuga il volto di Gesù. E il volto martoriato di Gesù vi rimane impresso.

Ecco l’aiuto vero. Occorre che la sofferenza del fratello si imprima dentro di noi. Non basta l’aiuto, non basta l’efficienza, non basta la presenza. La misericordia di Dio si vive nel patire con, nell’accogliere la sofferenza del fratello. Allora anche la presenza silenziosa è dono, pane dell’angelo che sostiene. La misericordia di Dio si fa parola nel buon ladrone, che intuisce la grandezza divina di Gesù, gli restituisce la nobiltà del suo sacrificio ed è l’ultima parola di conforto per Lui. Come è raro il vero aiutare chi soffre e come è facile essere consolatori molesti o amici addormentati! Ci sono le donne incontrate nel lamento chiassoso, a cui Gesù dice: “Non piangete su di me, ma piangete per voi stesse”[11].

Per tutti quelli che accostano il dolore con cuore attento negli ospedali, nelle carceri, nelle case per anziani; per tutte le solitudini di chi non trova sulla propria strada né la Veronica, né Maria, né le parole del buon ladrone, diciamo:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

CantoStrofa dello Stabat mater / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

Decima Stazione: Il Signore ha finito di soffrire, questa meraviglia, questo capolavoro di Dio, questo fiore di vita risplendente di ogni forza e di ogni bellezza aveva ancora tanta strada davanti a sé, quale pienezza di vita divina avrebbe ancora potuto germogliare da Lui!

Ora tutto è finito, è questa la pazzia della croce: il seme deve morire, perché da lui nasca una nuova vita più grande.

O Signore, questa è la risposta alla domanda: perché morire, perché andarsene quando non si è ancora vissuta la vita? Il seme resta infruttuoso, finché non muore nella terra. Se siamo una cosa sola con Dio, da vita nasce vita, per noi e per gli altri; così voglio confidare, tenendomi stretto a Dio, affinché la mia vita, i miei dolori portino frutto eterno e duraturo.

Per tutti quelli che non hanno vissuto una vita compiuta, per cui la morte non è come la spiga matura che piega, ma è giunta a spezzare e infrangere una fioritura, diciamo ancora:

“Signore, pietà!” e cantiamo il Kyrie eleison.

CantoStrofa dello Stabat mater / Adoramus Te Christe et benedicimus tibi

 

 

 

[1] Padre Lucio prete operaio in Belgio, trascorse gli ultimi anni della malattia a Casa Favre.

[2] Canto della sera nella Piccola Fraternità di Casa Favre a St. Jacques.  Proveniva dall’Eremo di Campello fondato da Sorella Maria

[3] Mt. 27, 42

[4] Mt. 26, 39

[5] Mc. 1, 40

[6] Cfr. Gb. 38, 4-6

[7] Cfr. Gb. 42, 4

[8] Lc. 23, 46

[9] Mt. 27, 40

[10] Cfr. Lc. 10, 30ss

[11] Lc. 23,28

Don Michele Do

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