St Jaques, 04/01/1992
Don Michele do
Dal Vangelo di Giovanni: “In Principio era il verbo…”
La chiesa ci ricolloca nel cuore il prologo del vangelo di Giovanni, di un’esauribile, sconfinata ricchezza. Qui tocchiamo i vertici assoluti, oltre non si può andare.
Vorrei solo raccogliere da questa liturgia due piste di riflessione, rifacendomi anche al testo di Paolo, dove si dice: “mi ricordo di voi e rendo grazia per voi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di Dio. Possa Egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità”.
Il primo ordine di riflessione mi pare possa essere questo: ci sono diversi livelli di conoscenza della realtà, della vita, del mistero di Dio. Ci sono diverse profondità di intelligenza, di “intus ligere”, leggere dentro, sia delle cose di Dio e sia nella lettura stessa dell’evangelo; è solo salendo nello spirito e facendo l’esperienza dello spirito che si dischiude tutta la profondità della buona novella dell’evangelo di Gesù, in tutta la sua ricchezza. Infatti solo nell’esperienza dello Spirito ed interiorizzando lo Spirito di Gesù, l’uomo può scrutare – dice Paolo in un altro testo – le “ultime profondità del mistero di Dio e del mistero dell’uomo”.
In fondo in tutte le grandi religiosità, ma direi anche in tutte le grandi riflessioni filosofiche, ci sono questi tre livelli:
- c’è il livello della carne
- c’è il livello dell’intelligenza, della razionalità pura, che però è conchiusa su se stessa
- c’è il livello dello Spirito. Paolo dice: “ Il Signore vi dia uno Spirito di sapienza che possa illuminare la vostra intelligenza”; la fede non è un non vedere, ma è l’occhio che vede più a fondo, illuminato dallo spirito di Dio. La conoscenza del mistero di Dio è un cammino, non è statica.
Quante volte vedendo com’è vissuta la fede, mi torna un ricordo della mia lontanissima infanzia, quando andando all’asilo, la mamma ci provvedeva di un cestello con dentro le provviste del giorno. Per quanta gente, nel piano della fede quel cestello con la provvista è rimasta così, frutta essiccata che non è più cresciuta.
Gesù dirà ai suoi discepoli: “quando verrà in voi lo spirito, vi condurrà alla verità tutta intera”. È un cammino, la verità religiosa è davvero intenerante, è un lungo cammino, non è una cosa che si percepisce solo con l’intelligenza, è un’esperienza. La fedeltà evangelica non è una fedeltà alla lettera, è la fedeltà creativa dell’albero al seme. L’albero è fedele nella misura in cui cresce e sale, nella misura in cui per essere fedele al seme, rimane seme, non c’è fedeltà, non c’è crescita. In fondo l’albero conosce se stesso e conosce il mistero che porta dentro, nella misura in cui cresce; se non cresce non sa neanche chi è.
È significativa la preghiera di S. Agostino: “Signore che io conosca me e che io conosca te”. Conoscere il mistero dell’uomo significa conoscere il mistero di Dio e conoscere il mistero di Dio significa conoscere il mistero dell’uomo. È una crescita, non c’è fede senza crescita.
Se una fede resta statica, non è fede. La fede è un fatto vitale, profondo.
C’è quell’episodio molto bello, quando Pietro è nella casa di Cornelio, che è pagano, e riceve da lui lo stimolo a crescere, perché lo Spirito scende su Cornelio e sulla sua casa. Allora Pietro comincia a dire: “sto rendendomi conto”, si rende conto, prende coscienza, che il mistero di Dio non è racchiuso dentro i perimetri dell’ortodossia ebraica, li scavalca non è rinchiuso nella circoncisione, è oltre, tocca il cuore di ogni uomo.
Ora dice Pietro: “finalmente ho capito!”.
C’è un lento capire, anche nel vangelo. Gesù stesso cresce nella sua percezione delle cose di Dio “E cresceva in età, sapienza e grazia” scrive il Vangelo. Pensate come Gesù cresce, anche dietro la sollecitazione di una povera donna, la Cananea. È la Cananea che fa superare a Gesù le prospettive ristrette e chiuse dell’ortodossia ebraica, quando Gesù dice: “Io non sono stato mandato che per le pecorelle sperdute di Israele e non è bene prendere il pane dei figli per darlo ai cagnolini”. Qui è manifesta la grandezza di quella donna, che allarga gli orizzonti di Gesù e gli dice: “si è vero, ma anche i cagnolini possono mangiare le briciole che cadono dalla mensa del Padre”. Ed allora Cristo risponde: “O donna, grande è la tua fede”.
Nella prima generazione cristiana, ed in Gesù stesso, c’è questa percezione del regno di Dio imminente, che si realizzerà come un’irruzione violenta di Dio nelle cose del mondo; poi questa concezione dell’escatologia imminente trapassa e sale ad un’altra visione, c’è una crescita.
Nel prologo di Giovanni si legge di Giovanni Battista, che “rende testimonianza alla luce”. Per me è stato molto importante, nella mia vita, nella mia crescita spirituale e per la comprensione del vangelo dello Spirito (perché se rimaniamo al vangelo della carne, non serve a nulla dice Gesù) trovare i testimoni della luce.
Quante volte le parole del Vangelo, lette, memorizzate, ma non interiorizzate, non mi dicevano nulla. Quando però, a tratti, vedevo quale profondità assumeva una parola evangelica nell’esperienza di certi uomini, allora era come la scoperta di una profondità nuova. Sono stati i commenti viventi all’Evangelo, quelli che mi hanno preso per mano e mi hanno introdotto lentamente, faticosamente, nelle profondità dell’Evangelo. “Lo Spirito vi condurrà alla verità tutta intera”, ma lo Spirito ha sempre agito per mezzo di testimoni, che mi hanno preso per mano e mi hanno aiutato a vedere più in profondità, oltre le formule, ed a comprendere lo Spirito di Gesù.
Questa mattina ho incontrato alcune persone che sono state amiche di Padre Acchiappati. Quanto debbo a lui per la comprensione spirituale dell’evangelo!
Sarei rimasto prigioniero, con il mio cestello, di realtà religiose immobili, senza crescita, se non avessi avuto nella mia vita l’incontro con questi testimoni della luce che mi hanno preso per mano. È un dono prezioso la loro amicizia.
Ognuno di noi ha i suoi Giovanni Battista, testimoni che ci accompagnano ad entrare, nelle profondità del mistero di Dio.
Noi percepiamo qualcosa del mistero di Dio, nella misura della nostra trasfigurazione. Noi percepiamo qualcosa del mistero di Dio e dell’evangelo nella misura della nostra ricchezza interiore spirituale.
Abbiamo celebrato il Natale, il Natale di Gesù. La sostanza del Natale di Gesù è questa, ce l’ha detto il prologo di Giovanni, il farsi uomo di Dio in Gesù di Nazareth “et incarnatus est” – Dio che prende volto nel volto di Gesù di Nazareth e Gesù di Nazareth che è il volto umano di Dio.
C’è un farsi di Dio – questa è l’incarnazione – il farsi di Dio nel cuore di un uomo. Dice anche Paolo: “Gesù l’immagine visibile del Dio invisibile”. Questa è la sostanza del Natale. Ma non è tutta la sostanza, perché il Natale di Gesù sarebbe vano ed inutile se non ci fosse il natale di ognuno di noi. Questa pagina del prologo, non riguarda solo Gesù, riguarda ognuno di noi.
Il Cristianesimo non è rivolto soltanto all’indietro, non guarda indietro, apre per una prospettiva per ogni uomo.
Allora, amici, mi sembra che, trovandoci nel periodo del Natale, giustamente la chiesa ritorna a questo prologo del vangelo di Giovanni.
Il Natale vero del cristiano è anche questo: non soltanto il farsi uomo di Dio in Gesù di Nazareth, ma è anche Dio che si fa uomo e prende volto d’uomo in ognuno di noi. C’è un’incarnazione dell’immagine di Dio nella vita e nel volto di ogni uomo. Ed ogni uomo è chiamato a diventare il volto di Dio e il sacramento di Dio, immagine visibile del Dio invisibile.
Gesù non è un limite, è un faro, apre la strada e nella misura in cui davvero il logos, il verbo di Dio, prende carne in ognuno di noi, nella misura in cui interiorizziamo Dio dentro di noi, noi conosciamo Dio. Ma non lo conosciamo soltanto con la punta dell’intelligenza; è il farsi di Dio dentro di noi. La conoscenza, come dice S. Paolo (il verbo francese “connaître = nascere con” lo esprime meglio che il verbo italiano) non c’è conoscenza di Dio, se Dio non nasce in noi. E non c’è questo farsi di Dio, se noi non interiorizziamo Dio dentro di noi.
“A coloro che l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio”, cioè di fare le cose che Dio fa e facendo le cose che Dio fa, conosceremo Dio.
È una specie di connaturalità. Ma è soltanto nella misura di questo farsi di Dio nella nostra vita, che noi potremo penetrare nelle profondità del mistero di Gesù e potremo anche intuire qualcosa dei grandi misteri, dei grandi interrogativi che l’esistenza umana ci pone costantemente. “Salendo, conosci”. Più salgo e più spero di conoscere; più cresco, come il piccolo seme, più conosco me stesso, e più conosco il mistero di Dio dentro di me. Questa è la conoscenza religiosa, che è diversa da tutte le altre conoscenze. È una conoscenza di esperienza: è un farsi di Dio nell’uomo.
Ed ecco allora perché dico agli amici, che come me sono tentati da tanti dubbi, da tante incertezze (già Agostino diceva: fides sine dubiis vana, fides non cogitata vana), cerchiamo pace in questo pensiero: fai le cose di Dio e Dio nascerà in te e conoscerai qualcosa del mistero di Dio, conoscerai la vita nella sua chiarezza e nella sua profondità divina, nella misura in cui “fai” le cose di Dio. Allora ognuno può chiedersi: ma io, Dio non l’ho mai visto. Lo so nessuno l’ha mai visto, ma abbiamo visto dei testimoni della luce; proprio Gesù è il grande testimone della luce. E poi abbiamo la testimonianza dello Spirito che ci è stato dato. “Noi siamo figli di Dio”, abbiamo letto ieri. “Lo sappiamo, perché lo Spirito di Dio grida in noi: Abbà, Padre”.
Spesso di dubbi ne ho tanti, amici, ed i dubbi ritornano sempre, non raggiungiamo mai la certezza; sul monte Tabor, sulle evidenze assolute e chiare non si possono piantar le tende, poi si torna e sempre la nube ci accompagna. Con la parte più bella, più luminosa, più alta, più chiara di te, che volto daresti a Dio? Talvolta dubitiamo, ma se Dio c’è, con la parte e nobile di te che volto gli daresti?
Noi sentiamo che certe cose non sono di Dio. Fai le cose; secondo l’immagine di Dio che porti nel cuore, nella parte più pura, più sacra, quella che Gesù indica: quando tu preghi, quando tu fai, quando tu speri, non farlo così soltanto superficialmente per farti vedere, rientra dentro di te, rientra in quella parte segreta, ma luminosa di te, dove il Padre è, vive, opera e illumina, rientra in quel punto segreto, scopri il momento divino della tua vita e di te. Giovanni dirà: la scintilla di Dio, un germe divino in noi. Rientra in queste profondità sacre del tuo cuore, lì lascia emergere l’immagine di Dio, e con quella parte chiara, fai le cose secondo quell’immagine di Dio, sii fedele.
Quando Gesù dice che in fondo non c’è che un solo peccato, il peccato contro la luce, il peccato contro lo Spirito, non ci richiama questa fedeltà profonda alla presenza di Dio immanente, intimamente, nelle ultime profondità dell’uomo? Li c’è il mistero luminoso di Dio. Sii fedele a questo nodo di luce che è dentro di te.
È quando perdiamo questo nodo di luce che diventiamo dei disgregati. Veramente allora la vita si spezzetta. Perdere il nostro nucleo interiore è perdere la nostra sostanza di uomini, la sostanza divina della nostra vita. Svaniscono tutte le chiarezze.
Domani è la festa dei Magi. I Magi, in fondo, sono uomini che cercando un volto divino della vita, un senso alto, sono stati fedeli a queste chiarezze interiori. Nei momenti di incertezza questo pensiero mi ha sempre aiutato.
Siamo fedeli all’immagine di Dio che portiamo dentro di noi, con la parte migliore, più alta, più pura di noi. Camminando con questa fedeltà alla luce, possiamo sperare di diventare luce.
Mi pare sia un pensiero che possa introdurci alla festività così bella dell’Epifania. Talvolta ci capita di trovare sulla nostra strada delle persone; ricordavo Padre Acchiappati e lo ricordavo questa mattina nel colloquio amico con quelli che l’hanno conosciuto; c’è da benedire, perché certi uomini sono davvero stati, in qualche modo, il Natale che continua, perché il Cristianesimo non è soltanto Gesù di Nazareth, ma è tutte le Epifanie che sono nate da Gesù di Nazareth. L’Epifania continua sempre; ci sono talvolta (ma bisogna saperli vedere, saperli cogliere) certi volti e certe esistenze che sono davvero Epifania di Dio. Sono presenze silenziose. Ma quante volte, nella vita, ci siamo trovati di fronte a certe esistenze, davanti a cui ci viene voglia di curvare il capo nell’inchino e nella riverenza, perché ci siamo trovati come di fronte ad un piccolo roveto ardente! Una trasfigurazione nella luce e dalle profondità di quelle umili e semplici esistenze, la voce dell’Eterno, come nel roveto ardente sul monte Oreb a Mosè: “Io sono colui che è”. La rivelazione del divino, la rivelazione di Dio in una creatura!
Questo è il Natale, questo è il miracolo cristiano.
In fondo ognuno è chiamato ad essere, attraverso la fatica di questa interiorizzazione di Dio e delle cose di Dio, un roveto ardente, un piccolo sacramento: è il farsi di Dio nel volto e nella vita di ognuno di noi. E tutti insieme allora formiamo davvero l’unico volto di Dio. Ma ognuno è chiamato ad essere sacramento del volto di Dio. È il miracolo cristiano. Se voi leggete la lettera a Diogneto, voi avvertite che questo miracolo è vero.
Se impoveriamo il Cristianesimo e lo riduciamo a una morale, non è più un miracolo; l’anima grande del Cristianesimo è spenta. Il Cristianesimo è miracolo e sacramento.
Essenziale non è tanto ricevere dei sacramenti; la cosa grande del cristianesimo è che, attraverso l’interiorizzazione di Dio, ogni discepolo dell’Evangelo diventa un sacramento di Dio, come Cristo è il sacramento del Padre.
Il Natale di Gesù sarebbe sterile ed inutile se non diventasse il nostro Natale.
Per ognuno debbono potersi ripetere – chissà quando – le parole: “Il Logos di Dio si è incarnato in noi per opera dello Spirito Santo”. Allora saremo nella pienezza del Regno. Quando Gesù potrà davvero consegnare il suo Regno al Padre, come dice Paolo, perché “Dio sarà tutto in tutte le cose”.
Ed allora la creazione sarà un immenso roveto ardente: Epifania luminosa del mistero di Dio.
Siamo dei pellegrini, questo è il cammino. “Homo viator, spe erectus!” Questi sono gli orizzonti della speranza cristiana.