Intervento – testimonianza tenuto in occasione di una serata in Champoluc il 9 agosto 2007.

Mi trovo un po’ in difficoltà, perché mi sento un po’ gretto con poche cose da insegnare, da dire, vorrei fermarmi in questi giorni ho dato uno sguardo alla mia vita, questa occasione è stata anche importante per questo e vorrei fermarmi a vedere le grazie che io ho avuto nella mia vita, perché sono stato fortunato ho incontrato delle persone, ho avuto delle occasioni di riflessione molto belle, molto grandi.

Fosse stato qualcun altro avrebbe fatto molto più di me e incomincio da quand’ero ragazzo, quarta elementare, il mio vicecurato che io ammiravo ci aveva portato in chiesa a fare meditazione, tutti giorni andavamo, leggevamo, avevamo un libretto, leggevamo.

E’ stata l’esperienza religiosa fondamentale della mia vita.

Ancora oggi quel momento viene fuori.

Ricordo che un giorno l’anziano parroco era venuto da me a dirmi: ”Adesso vai a giocare!”. Perché si vede che io ero stato lì,  non so quanto tempo, ma è stato quel momento la grazia più grande della mia vita.

E quando leggo il Roveto ardente di Mosè, oppure la Trasfigurazione e Pietro che dice:”Facciamo tre tende, restiamo qui!” lo capisco, per me è stato il momento, il momento in cui ho deciso che la mia vita poteva essere più bella, che ho deciso di farmi prete.

Al mio paese c’era solo la quinta elementare e mio papà aveva detto a tutti: “Vuoi studiare o vuoi lavorare i campi”? Poi io mio papà l’ho perso, avevo un anno e mio fratello più vecchio alla fine della quarta elementare mi dice: “Vuoi studiare o lavorare i campi?”.

Per studiare bisognava andare in città, bisognava andare in collegio, e io gli ho detto:

“Voglio farmi prete!”. Ricordo che lui mi ha guardato, e che non era forse dei più bravi, quella è stata la grazia e credo sia importante nella nostra vita l’incontrare il Signore, il dare del Tu, sentirlo presente.

Con molta tristezza oggi vedo che i ragazzi non hanno più queste occasioni di riflettere, di fare silenzio e forse stiamo mancando in cose molto importanti.

Il fermarsi, e ho la testimonianza di una signora, era qui in questi giorni che mi dice: (Era molto che non la vedevo) dice: “ La mia salvezza è stata l’essere andata quei tre giorni che ci hai portato tu a Cuneo, tre giorni di silenzio in Monastero. Nel momento difficile quell’esperienza dell’incontro personale è fuori con tutta la sua forza”.

Ecco questa è la prima grazia fondamentale della mia vita, sulla quale vi invito proprio a riflettere, perché credo sia importante, fondamentale.

Poi sono diventato sacerdote e ho avuto un’altra grazia, ero viceparroco in Duomo, il primo parroco con cui sono stato quattro anni aveva 80 anni e se fossi pittore lo farei in questo modo: un povero che tende la mano e lui che mette la mano nella tasca della talare e qualcosa lo trova, nonostante non avesse mai nulla. Nonostante che tante mattine i soldi per la persona di servizio, per fare la spesa, glieli davo io.

Ecco questa immagine che mi è rimasta dentro, che all’inizio ho fatto fatica a capire, poi però …. Una carità ….. e quando è morto  in sette o otto abbiamo coperto, pagato tutti i debiti. Non una lira…. Non una lira.

Il parroco che è venuto dopo, col quale sono stato diciassette anni, lo stesso: un’altra levatura culturale, era liturgista a livello nazionale, ma i poveri, i poveri.

Il vangelo, ecco, lo traducevano e io amministravo, e qualche volta facevo fatica ad accettare, perché, perché a volte non c’erano i soldi per il pranzo, per la cena, però non si discuteva e anche quando secondo parroco morto, morto improvvisamente, sessantatre anni,  trecento mila lire nel suo portafoglio, nel testamento da dare ai poveri.

Questa seconda esperienza, lentamente, con molta difficoltà è entrata nella mia vita e all’inizio con difficoltà, perché l’esperienza religiosa, lo stare davanti al Signore era bello, ma poi tradurlo era fatica. E questi due parroci mi hanno insegnato questo: mi hanno insegnato che i poveri hanno la precedenza.

Con difficoltà ancora oggi cerco di vivere questo. Mi è rimasto dentro. Sono stato molto fortunato, e una terza grazia: Venivo a Saint Jacques e ho incontrato Don Michele e soprattutto l’ho incontrato in un momento molto difficile nel ’68, gli studenti del liceo venivano tutti nella mia parrocchia, era un gruppo molto bello, c’eravamo trovati qui dieci giorni, avevamo fatto delle cose stupende, belle.

Tornati ad Alba è scoppiata la rivoluzione, “ bisogna cambiare tutto!”…. terribile…. con chi sto? Con gli altri preti che non capivano, con gli adulti, o sto con loro?, li mando via tutti?

Ricordo che avevo preso un esaurimento, non dormivo più di notte e avevo telefonato a Saint Jacques chiedendo a Don Michele se era libero e lui mi disse di sì. Seppi poi da Vivarelli, che aveva un impegno: di predicare gli esercizi a un gruppo di suore, e aveva mandato Vivarelli, per ospitarmi.

E ricordo un colloquio: c’erano sotto i marxisti – leninisti che facevano una riunione, quindi Don Michele non era fuori; sapeva benissimo com’era la situazione. Dalla finestra, guardando le macchine che erano in piazza mi dice: Ricorda che il problema grosso non è questo. Passerà. Il problema è: Che senso ha la vita. E dobbiamo prepararci per questo momento. Furono le parole che mi hanno salvato, perché forse avrei fatto qualche stupidaggine. Tornato giù, sono stato coi ragazzi, ma mai mi sono lasciato ingoiare, sempre pensando che il grande problema era: Che senso ha la vita. E noi oggi ci troviamo questo problema: la droga è proprio il segno che non c’è più un senso. Questa è stata l’altra grazia. Certamente l’altra grazia.

E ricordo quando ad Alba, in un momento difficile, qualche anno dopo, un sacerdote andava in Brasile, era stato in seminario; era stato mandato fuori e c’era una mezza rivoluzione, io ero a Cuneo in un monastero con  40 ragazzi, tre giorni di silenzio, e questa signora di cui vi parlavo era là in quei giorni.

E ricordo che il parroco mi telefonò.

Dice: “I Canonici vogliono chiudere il Duomo, e non lasciare i giovani. Se tu vieni a fare la preghiera io dico di lasciare il Duomo aperto. Io ero venuto giù da Cuneo, ma questo non era merito mio, era che Don Michele mi aveva seguito, mi aveva fatto vedere l’oltre. Stare nel presente, ma vedere l’oltre”.

Non è sempre stato facile. Poi io non avevo doti intellettuali, quindi facevo fatica. Quante notti, quante sere ho preso la macchina e sono venuto su e al mattino ero in Duomo normale, senza dire niente a nessuno, ma nella notte c’era stato un confronto molto importante.

E un altro ricordo, un’altra grazia: i giovani della mia parrocchia che frequentavano l’Università, avevano incontrato dei giovani a Torino che si dedicavano ai poveri.

E un giorno questi giovani di Torino hanno portato questi ragazzi ai quali loro si interessavano,  li hanno portati ad Alba a fare una partita a calcio, e poi c’era la cena, ed era inteso che i giovani del Duomo perdevano la partita e pagavano la cena.

E ricordo che io ero andato al campo dell’oratorio e c’era un signore lì, non avevo subito capito che era un prete, e poi cominciammo a parlare, era Don Ciotti.

L’incontro con don Ciotti è stata un’altra grazia, ci siamo parlati, ci siamo capiti, abbiamo cominciato a lavorare insieme, in qualche cosa.

La parrocchia del Duomo era piena di immigrati e allora abbiamo cominciato ad organizzare qualcosa coi giovani, vedere se era possibile ….. scoppia la droga; don Ciotti si interessa di droga e io ho detto: ”Lo faccio anch’io”.

Don Valentino Vaccaneo

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