Alcuni pensieri tratti dalle Omelie e dai suoi ultimi scritti

Vorrei che sapeste fidarvi di Dio, anche contro ogni evidenza. La potenza si manifesta soprattutto nell’amore. La fede è una passione della mente, un essere affascinati interiormente, un ‘incandescenza del cuore. La fede coinvolge tutto il mio essere, diventa vita, passione, incontro col Cristo.

Vorrei che foste impegnati nelle realtà terrene, nell’attenzione agli ultimi, evitando ogni strumentalizzazione, senza cercare applausi personali né trionfalismi. Il cristiano deve fare attenzione a indicare il Cristo, non se stesso, non le sue opere.  Per questo sono necessari spazi di silenzio, di riflessione e di preghiera. Senza la preghiera la nostra vita diventa preda delle mode, degli avvenimenti, del vento che tira in quel momento. Luogo del silenzio, dove l’uomo è costretto a guardarsi dentro, a essere solo con se stesso  è il deserto. Può essere il momento in cui tutti i nostri orgogli, le nostre ambizioni , i nostri sentimenti di rivalsa si spengono per lasciare posto alla  profondità dello Spirito, per lasciare emergere il meglio di noi stessi. Come i Magi sono affascinati dalla stella, dal bisogno di senso, di eternità, di bellezza, così anche noi dovremmo sentire il richiamo di grandi mete. La stella è un simbolo: l’uomo religioso è chiamato a rientrare  in se stesso, a leggere nel proprio cuore, nel silenzio, nella meditazione, il senso alto e pieno della sua vita.

Vorrei foste capaci di perdonare voi stessi e di perdonarvi a vicenda. “Il mio passato mi sta sempre dinanzi” – dice il salmo, e non mi schiaccia più. Il Signore può fare con  il fango della mia vita i mattoni di  una nuova costruzione, una nuova casa, una nuova vita. La fede nel Signore diventa determinante e mi dice che in qualunque situazione di lebbra o di paralisi posso rialzarmi e camminare. La strada della santità è aperta anche a me. Il perdono è rinascita, luce, sole, primavera, futuro, vita.  Il Dio di Gesù Cristo è amore, misericordia, perdono. Ha le braccia sempre aperte  per accogliere, corre incotro al figlio, lo abbraccia, lo bacia. L’accoglienza non è però mai connivenza o complicità. Il peccato è il passato dell’uomo, l’amore di Dio  è il suo futuro. Il figlio prodigo quando torna pensa di non essere più accolto come figlio: il padre invece non sente nemmeno le scuse: lo abbraccia, lo bacia..  si fa festa. Il cuore del padre è molto più grande di quello del figlio. Dio mi ama più di quanto  io sia capace di amarmi.

Vorrei che sapeste spezzare il pane con chi ha fame.  Essere pane vuol dire essere disponibili  ad aiutare, a perdonare, ad accogliere. Giovanni insiste a far capire che la croce e  il trono coincidono, che regnare significa dare la vita. L’uomo grande per il Vangelo non è chi ha molto potere, , ma chi serve, chi costruisce rapporti di comunione, di amore. La mamma e il papà in una casa regnano, sono grandi in proporzione di quanto sanno amarsi e amare, vivere la loro vita come un dono. La nostra vita sarà bella, significativa se sarà donata. La regalità è quindi nel servire, nel donare, non nel farsi servire. La nostra forza sarà solo il Vangelo, la sua bellezza, il suo fascino. La strada è quella di san Francesco e di tanti altri santi.

Vorrei foste capaci di ricerca della verità evangelica con il rigore dell’intelligenza e la passione del cuore. La fede non sarà mai un salto nel buio: sarà sempre una scelta del cuore illuminata dalla ragione.  Del resto in tutte le cose umane abbiamo bisogno di due elementi. Anche nell’innamoramento di due persone ci saranno sempre cuore e ragione: se ci sarà un solo elemento sarà un disastro.

Vorrei sapeste consolare: ho imparato a stare vicino a chi soffre in silenzio, senza dire frasi fatte, pregando, avvicina domi in punta di piedi. Il dolore è un mistero.  Anche Gesù ha avuto la sensazione di essere abbandonato  da Dio nell’orto degli ulivi. Si è però affidato: “Nelle tue mani affido  il mio spirito”. In Gesù si apre davanti a noi un grande orizzonte di senso  che ci sottrae alla disperazione.

Vorrei che i vostri occhi fossero capaci di vedere il mistero divino in ogni realtà: «Dio è più grande del nostro cuore». È bellissima questa affermazione di Giovanni. Il cristiano sarà chiamato come Cristo a dare senso e profondità divina a tutte le cose, anche alle più piccole e insignificanti. È il potere di Maria di trasformare una stalla in una chiesa, tenendoci lontani dal pericolo di trasformare una chiesa in una “spelonca di ladri”.

Vorrei vedervi radunati attorno alla mensa con atteggiamento di condivisione profonda. Lo spezzare il pane diventa per Gesù aprire la propria vita ad una comunione profonda. Non capiremmo l’Ultima cena, se non avessimo presente le altre cene, le comunioni profonde nate attorno allo spezzare del pane. Così noi non possiamo gustare lo spezzare del pane se non abbiamo spezzato il pane con religiosa sobrietà attorno alla mensa.

Possiate essere sempre più Comunità: le persone convergono nello stesso posto, sentono il bisogno di fare comunità, di non essere soli. Il cristianesimo nasce come comunità. Non posso dire: vivo il Vangelo per conto mio. Il Vangelo mi è stato dato da qualcuno e io sono in dovere di donarlo ad altri. Non solo, ma il Vangelo lo vivo e il pane lo spezzo con gli altri. I primi cristiani erano assidui nell’ascolto e nell’insegnamento della parola. La fede nasce dall’ascolto; la messa domenicale senza l’ascolto della Parola, senza la riflessione sul Vangelo non ha senso; nell’unione fraterna. Il credente deve essere questa testimonianza di amore fraterno nel mondo; nello spezzare il pane.Nella nostra parrocchia ci sono case da correggere: ci sono tanti carismi e tanti doni che si danno fastidio l’un l’altro. Se uno fa bene una cosa, l’altro deve essere contento. In questo modo già qui  e ora comincerà la vita eterna. E’ una proposta di vita piena, di bellezza, di vita in cui la ruggine e la tignola non hanno più potere. Siamo chiamati a fare cose degne di non morire.

Don Valentino Vaccaneo

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