Testi scritti da Don Valentino

 

 

Il testamento spirituale di don Valentino è raccolto nelle riflessioni e nelle preghiere che ha scritto l’11 febbraio 2003, pagine che sono state lette al funerale, il 29 agosto 2012.

 

«Scrivo queste mie riflessioni oggi, giorno del mio compleanno, poche ore dopo che la dottoressa mi ha telefonato da Torino: dagli ultimi esami ho un inizio di mieloma. Dopo un’ora di silenzio passato in chiesa sento il bisogno di scrivere come voglio passare questo ultimo spazio di tempo della mia vita.

 

Il pensare la morte forse vicina non mi turba affatto, anzi sento in me una forza nuova, una voglia di non perdere tempo, di impegnarmi con più slancio. Sento una grande pace e una grande gioia. La gioia di cominciare una vita nuova, più intensa, più allegra, di maggior impegno. Questa notizia sento che mi ha cambiato dentro. Ho sentito il bisogno di guardare al mio passato e di chiedere perdono di tutte le mie mancanze, che sono veramente molte. Ho sentito il bisogno di telefonare a don Michele per un appuntamento e mettere una pietra sul mio passato e cominciare una vita nuova.

 

Vorrei non perdere tempo. Se è poco il tempo che mi è dato, vorrei vivere intensamente, facendo le cose ordinarie, facendo il parroco, che considero il più bel dono della mia vita. So che il decorso della malattia sarà lungo, con ospedali, trasfusioni, rinuncia alla parrocchia; chiedo di avere la forza di fare queste rinunce che per me saranno le più dolorose.

 

Ho amato la parrocchia del Duomo con tutte le mie forze e ora amo quella di Cristo Re con un amore sempre più intenso e giovanile.

 

Sto prendendo coscienza che la notizia della mia malattia mi sta rendendo più gioioso, con più voglia di lavorare. Di questo dono ti ringrazio Signore. Che bello, se mi farai dono di conservare questo entusiasmo fino all’ultimo giorno. È la grazia che ti chiedo, Signore.

 

Ho sempre creduto, lavorato, non ho lesinato fatica, spero che questo possa essere motivo di perdono per i tanti miei sbagli.

 

Avendo davanti gli ultimi mesi di vita dei miei fratelli, che avevano la stessa mia malattia, e gli ultimi mesi di don Robaldo, ti chiedo, Signore, di darmi la forza di sorridere fino all’ultimo giorno.

Ho creduto in Te e so in Chi ho creduto. Vorrei che l’incontro con Te, con don Casetta, don Mignone, don Robaldo (che mi ha tanto amato) e con tutti quelli che in questi 40 anni ho accompagnato al cimitero, fosse una festa.

Vorrei che alla mia sepoltura si facesse festa, si cantasse Alleluja come abbiamo fatto alla sepoltura di don Mignone. Vorrei che tutti i bambini fossero attorno a me, che battessero le mani come fanno alla Messa delle 10.30, che cantassero i canti di festa, i canti non dell’addio ma dell’incontro con il Signore.

 

Don Valentino Vaccaneo

 

 

 

 

 

La comunità di Cristo Re ha ricordato don Valentino sul bollettino parrocchiale raccogliendo alcuni pensieri tratti dalle Omelie e dai suoi ultimi scritti.

 

- Vorrei che sapeste fidarvi di Dio, anche contro ogni evidenza. La potenza si manifesta soprattutto nell’amore. La fede è una passione della mente, un essere affascinati interiormente, un ‘incandescenza del cuore. La fede coinvolge tutto il mio essere, diventa vita, passione, incontro col Cristo.

 

- Vorrei che foste impegnati nelle realtà terrene, nell’attenzione agli ultimi, evitando ogni strumentalizzazione, senza cercare applausi personali né trionfalismi. Il cristiano deve fare attenzione a indicare il Cristo, non se stesso, non le sue opere.  Per questo sono necessari spazi di silenzio, di riflessione e di preghiera. Senza la preghiera la nostra vita diventa preda delle mode, degli avvenimenti, del vento che tira in quel momento. Luogo del silenzio, dove l’uomo è costretto a guardarsi dentro, a essere solo con se stesso  è il deserto. Può essere il momento in cui tutti i nostri orgogli, le nostre ambizioni , i nostri sentimenti di rivalsa si spengono per lasciare posto alla  profondità dello Spirito, per lasciare emergere il meglio di noi stessi. Come i Magi sono affascinati dalla stella, dal bisogno di senso, di eternità, di bellezza, così anche noi dovremmo sentire il richiamo di grandi mete. La stella è un simbolo: l’uomo religioso è chiamato a rientrare  in se stesso, a leggere nel proprio cuore, nel silenzio, nella meditazione, il senso alto e pieno della sua vita.

 

- Vorrei foste capaci di perdonare voi stessi e di perdonarvi a vicenda. “Il mio passato mi sta sempre dinanzi” – dice il salmo, e non mi schiaccia più. Il Signore può fare con  il fango della mia vita i mattoni di  una nuova costruzione, una nuova casa, una nuova vita. La fede nel Signore diventa determinante e mi dice che in qualunque situazione di lebbra o di paralisi posso rialzarmi e camminare. La strada della santità è aperta anche a me. Il perdono è rinascita, luce, sole, primavera, futuro, vita.  Il Dio di Gesù Cristo è amore, misericordia, perdono. Ha le braccia sempre aperte  per accogliere, corre incotro al figlio, lo abbraccia, lo bacia. L’accoglienza non è però mai connivenza o complicità. Il peccato è il passato dell’uomo, l’amore di Dio  è il suo futuro. Il figlio prodigo quando torna pensa di non essere più accolto come figlio: il padre invece non sente nemmeno le scuse: lo abbraccia, lo bacia..  si fa festa. Il cuore del padre è molto più grande di quello del figlio. Dio mi ama più di quanto  io sia capace di amarmi.   

 

- Vorrei che sapeste spezzare il pane con chi ha fame.  Essere pane vuol dire essere disponibili  ad aiutare, a perdonare, ad accogliere. Giovanni insiste a far capire che la croce e  il trono coincidono, che regnare significa dare la vita. L’uomo grande per il Vangelo non è chi ha molto potere, , ma chi serve, chi costruisce rapporti di comunione, di amore. La mamma e il papà in una casa regnano, sono grandi in proporzione di quanto sanno amarsi e amare, vivere la loro vita come un dono. La nostra vita sarà bella, significativa se sarà donata. La regalità è quindi nel servire, nel donare, non nel farsi servire. La nostra forza sarà solo il Vangelo, la sua bellezza, il suo fascino. La strada è quella di san Francesco e di tanti altri santi.

 

- Vorrei foste capaci di ricerca della verità evangelica con il rigore dell’intelligenza e la passione del cuore. La fede non sarà mai un salto nel buio: sarà sempre una scelta del cuore illuminata dalla ragione.  Del resto in tutte le cose umane abbiamo bisogno di due elementi. Anche nell’innamoramento di due persone ci saranno sempre cuore e ragione: se ci sarà un solo elemento sarà un disastro.

 

- Vorrei sapeste consolare: ho imparato a stare vicino a chi soffre in silenzio, senza dire frasi fatte, pregando, avvicina domi in punta di piedi. Il dolore è un mistero.  Anche Gesù ha avuto la sensazione di essere abbandonato  da Dio nell’orto degli ulivi. Si è però affidato: “Nelle tue mani affido  il mio spirito”. In Gesù si apre davanti a noi un grande orizzonte di senso  che ci sottrae alla disperazione.

 

- Vorrei che i vostri occhi fossero capaci di vedere il mistero divino in ogni realtà: «Dio è più grande del nostro cuore». È bellissima questa affermazione di Giovanni. Il cristiano sarà chiamato come Cristo a dare senso e profondità divina a tutte le cose, anche alle più piccole e insignificanti. È il potere di Maria di trasformare una stalla in una chiesa, tenendoci lontani dal pericolo di trasformare una chiesa in una “spelonca di ladri”.

 

- Vorrei vedervi radunati attorno alla mensa con atteggiamento di condivisione profonda. Lo spezzare il pane diventa per Gesù aprire la propria vita ad una comunione profonda. Non capiremmo l’Ultima cena, se non avessimo presente le altre cene, le comunioni profonde nate attorno allo spezzare del pane. Così noi non possiamo gustare lo spezzare del pane se non abbiamo spezzato il pane con religiosa sobrietà attorno alla mensa.

 

- Possiate essere sempre più Comunità: le persone convergono nello stesso posto, sentono il bisogno di fare comunità, di non essere soli. Il cristianesimo nasce come comunità. Non posso dire: vivo il Vangelo per conto mio. Il Vangelo mi è stato dato da qualcuno e io sono in dovere di donarlo ad altri. Non solo, ma il Vangelo lo vivo e il pane lo spezzo con gli altri. I primi cristiani erano assidui nell’ascolto e nell’insegnamento della parola. La fede nasce dall’ascolto; la messa domenicale senza l’ascolto della Parola, senza la riflessione sul Vangelo non ha senso; nell’unione fraterna. Il credente deve essere questa testimonianza di amore fraterno nel mondo; nello spezzare il pane.Nella nostra parrocchia ci sono case da correggere: ci sono tanti carismi e tanti doni che si danno fastidio l’un l’altro. Se uno fa bene una cosa, l’altro deve essere contento. In questo modo già qui  e ora comincerà la vita eterna. E’ una proposta di vita piena, di bellezza, di vita in cui la ruggine e la tignola non hanno più potere. Siamo chiamati a fare cose degne di non morire.

 

 

 

Intervento - testimonianza  tenuto in occasione di una serata in Champoluc il 9 agosto 2007.

 

Mi trovo un po’ in difficoltà, perché mi sento un po’ gretto con poche cose da insegnare, da dire, vorrei fermarmi in questi giorni ho dato uno sguardo alla mia vita, questa occasione è stata anche importante per questo e vorrei fermarmi a vedere le grazie che io ho avuto nella mia vita, perché sono stato fortunato ho incontrato delle persone, ho avuto delle occasioni di riflessione molto belle, molto grandi.

 

Fosse stato qualcun altro avrebbe fatto molto più di me e incomincio da quand’ero ragazzo, quarta elementare, il mio vicecurato che io ammiravo ci aveva portato in chiesa a fare meditazione, tutti giorni andavamo, leggevamo, avevamo un libretto, leggevamo.

 

E’ stata l’esperienza religiosa fondamentale della mia vita.

 

Ancora oggi quel momento viene fuori.

 

 Ricordo che un giorno l’anziano parroco era venuto da me a dirmi: ”Adesso vai a giocare!”. Perché si vede che io ero stato lì,  non so quanto tempo, ma è stato quel momento la grazia più grande della mia vita.

 

E quando leggo il Roveto ardente di Mosè, oppure la Trasfigurazione e Pietro che dice:”Facciamo tre tende, restiamo qui!” lo capisco, per me è stato il momento, il momento in cui ho deciso che la mia vita poteva essere più bella, che ho deciso di farmi prete.

 

Al mio paese c’era solo la quinta elementare e mio papà aveva detto a tutti: “Vuoi studiare o vuoi lavorare i campi”? Poi io mio papà l’ho perso, avevo un anno e mio fratello più vecchio alla fine della quarta elementare mi dice: “Vuoi studiare o lavorare i campi?”.

 

Per studiare bisognava andare in città, bisognava andare in collegio, e io gli ho detto:

 

“Voglio farmi prete!”. Ricordo che lui mi ha guardato, e che non era forse dei più bravi, quella è stata la grazia e credo sia importante nella nostra vita l’incontrare il Signore, il dare del Tu, sentirlo presente.

 

Con molta tristezza oggi vedo che i ragazzi non hanno più queste occasioni di riflettere, di fare silenzio e forse stiamo mancando in cose molto importanti.

 

Il fermarsi, e ho la testimonianza di una signora, era qui in questi giorni che mi dice: (Era molto che non la vedevo) dice: “ La mia salvezza è stata l’essere andata quei tre giorni che ci hai portato tu a Cuneo, tre giorni di silenzio in Monastero. Nel momento difficile quell’esperienza dell’incontro personale è fuori con tutta la sua forza”.

 

Ecco questa è la prima grazia fondamentale della mia vita, sulla quale vi invito proprio a riflettere, perché credo sia importante, fondamentale.

 

Poi sono diventato sacerdote e ho avuto un’altra grazia, ero viceparroco in Duomo, il primo parroco con cui sono stato quattro anni aveva 80 anni e se fossi pittore lo farei in questo modo: un povero che tende la mano e lui che mette la mano nella tasca della talare e qualcosa lo trova, nonostante non avesse mai nulla. Nonostante che tante mattine i soldi per la persona di servizio, per fare la spesa, glieli davo io.

 

Ecco questa immagine che mi è rimasta dentro, che all’inizio ho fatto fatica a capire, poi però …. Una carità ….. e quando è morto  in sette o otto abbiamo coperto, pagato tutti i debiti. Non una lira…. Non una lira.

 

Il parroco che è venuto dopo, col quale sono stato diciassette anni, lo stesso: un’altra levatura culturale, era liturgista a livello nazionale, ma i poveri, i poveri.

 

Il vangelo, ecco, lo traducevano e io amministravo, e qualche volta facevo fatica ad accettare, perché, perché a volte non c’erano i soldi per il pranzo, per la cena, però non si discuteva e anche quando secondo parroco morto, morto improvvisamente, sessantatre anni,  trecento mila lire nel suo portafoglio, nel testamento da dare ai poveri.

 

Questa seconda esperienza, lentamente, con molta difficoltà è entrata nella mia vita e all’inizio con difficoltà, perché l’esperienza religiosa, lo stare davanti al Signore era bello, ma poi tradurlo era fatica. E questi due parroci mi hanno insegnato questo: mi hanno insegnato che i poveri hanno la precedenza.

 

Con difficoltà ancora oggi cerco di vivere questo. Mi è rimasto dentro. Sono stato molto fortunato, e una terza grazia: Venivo a Saint Jacques e ho incontrato Don Michele e soprattutto l’ho incontrato in un momento molto difficile nel ’68, gli studenti del liceo venivano tutti nella mia parrocchia, era un gruppo molto bello, c’eravamo trovati qui dieci giorni, avevamo fatto delle cose stupende, belle.

 

Tornati ad Alba è scoppiata la rivoluzione, “ bisogna cambiare tutto!”…. terribile…. con chi sto? Con gli altri preti che non capivano, con gli adulti, o sto con loro?, li mando via tutti?

 

Ricordo che avevo preso un esaurimento, non dormivo più di notte e avevo telefonato a Saint Jacques chiedendo a Don Michele se era libero e lui mi disse di sì. Seppi poi da Vivarelli, che aveva un impegno: di predicare gli esercizi a un gruppo di suore, e aveva mandato Vivarelli, per ospitarmi.

 

E ricordo un colloquio: c’erano sotto i marxisti – leninisti che facevano una riunione, quindi Don Michele non era fuori; sapeva benissimo com’era la situazione. Dalla finestra, guardando le macchine che erano in piazza mi dice: Ricorda che il problema grosso non è questo. Passerà. Il problema è: Che senso ha la vita. E dobbiamo prepararci per questo momento. Furono le parole che mi hanno salvato, perché forse avrei fatto qualche stupidaggine. Tornato giù, sono stato coi ragazzi, ma mai mi sono lasciato ingoiare, sempre pensando che il grande problema era: Che senso ha la vita. E noi oggi ci troviamo questo problema: la droga è proprio il segno che non c’è più un senso. Questa è stata l’altra grazia. Certamente l’altra grazia.

 

E ricordo quando ad Alba, in un momento difficile, qualche anno dopo, un sacerdote andava in Brasile, era stato in seminario; era stato mandato fuori e c’era una mezza rivoluzione, io ero a Cuneo in un monastero con  40 ragazzi, tre giorni di silenzio, e questa signora di cui vi parlavo era là in quei giorni.

 

E ricordo che il parroco mi telefonò.

 

Dice: “I Canonici vogliono chiudere il Duomo, e non lasciare i giovani. Se tu vieni a fare la preghiera io dico di lasciare il Duomo aperto. Io ero venuto giù da Cuneo, ma questo non era merito mio, era che Don Michele mi aveva seguito, mi aveva fatto vedere l’oltre. Stare nel presente, ma vedere l’oltre”.

 

Non è sempre stato facile. Poi io non avevo doti intellettuali, quindi facevo fatica. Quante notti, quante sere ho preso la macchina e sono venuto su e al mattino ero in Duomo normale, senza dire niente a nessuno, ma nella notte c’era stato un confronto molto importante.

 

E un altro ricordo, un’altra grazia: i giovani della mia parrocchia che frequentavano l’Università, avevano incontrato dei giovani a Torino che si dedicavano ai poveri.

 

E un giorno questi giovani di Torino hanno portato questi ragazzi ai quali loro si interessavano,  li hanno portati ad Alba a fare una partita a calcio, e poi c’era la cena, ed era inteso che i giovani del Duomo perdevano la partita e pagavano la cena.

 

E ricordo che io ero andato al campo dell’oratorio e c’era un signore lì, non avevo subito capito che era un prete, e poi cominciammo a parlare, era Don Ciotti.

 

L’incontro con don Ciotti è stata un’altra grazia, ci siamo parlati, ci siamo capiti, abbiamo cominciato a lavorare insieme, in qualche cosa.

La parrocchia del Duomo era piena di immigrati e allora abbiamo cominciato ad organizzare qualcosa coi giovani, vedere se era possibile ….. scoppia la droga; don Ciotti si interessa di droga e io ho detto: ”Lo faccio anch’io”.

 

 

 

 

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